Non siete fascisti ma (edizione 2023) by Giuseppe Civati

Non siete fascisti ma (edizione 2023) by Giuseppe Civati

autore:Giuseppe Civati [Civati, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: People
pubblicato: 2023-07-20T22:00:00+00:00


Ma ve lo siete dimenticati

Giorgia non è fascista, ma si prende tutta la storia post fascista dei fascisti, compresa la fiamma. “Ho raccolto il testimone di una storia lunga settant’anni” (p. 162), “Non volevo tradire gli ideali di una storia lunga settant’anni” (p. 172), “non abbiamo dimenticato da dove veniamo” (p. 119). Se Gianfranco Fini aveva operato delle poderose cesure, Giorgia Meloni quando decide di fare FdI (21 dicembre 2012, “un nuovo partito per un’antica tradizione”, p. 175), riannoda il filo con il Msi, fondato nel secondo dopoguerra da Giorgio Almirante.

Così Fabio Luppino («Io sono Giorgia. Ma anche Giorgio», Huffington Post, 31 ottobre 2021), rileggendo il libro autobiografico di Giorgia Meloni. Fiammeggiante.

Per il resto, la memoria è selettiva.

Celebriamo senza curarcene troppo il Giorno della Memoria e viviamo giorni della dimenticanza per il resto dell’anno.

È una parola italiana, italianissima, tra le più italiane che ci siano. È il dimenticatoio, quel luogo immaginario della dimenticanza dove tutto va a finire.

E dove sta finendo l’Italia, che si dimentica tutto quanto, la propria storia, quando c’era il fascismo, quando eravamo poverissimi e a milioni attraversavamo il mare, quando non c’era la democrazia. Tutto quanto nel dimenticatoio.

Un mobile, un anfratto, un magazzino, forse sotterraneo? Per gli esseri umani e il loro corpo ultimamente è subacqueo.

Non sappiamo come sia fatto, il dimenticatoio. E se lo sapevamo ce ne siamo dimenticati.

La definizione riportata dai vocabolari è chiara: «La sede immaginaria della dimenticanza» o «dell’oblio», «Quasi abituro della dimenticanza».

Dicono i dizionari che è scherzoso. Stefano Bartezzaghi lo ricorda e mi scrive:

Così, a memoria (per l’appunto), ti posso dire che “dimenticatoio” è una delle metafore cretine con cui Arbasino se la prendeva negli anni Settanta: scriveva (lo ha fatto più volte) “chi ha mai visto un dimenticatoio? Come è fatto? Quanto è capiente?”. Bisognerebbe sondare libri come Fantasmi italiani o Un Paese senza ma se dovessi dire di qualcuno che ha messo il lemma in relazione con il discorso pubblico italiano, questo è stato lui. Un Paese senza si apre con una lista di locuzioni che completano il titolo e la prima della lista è “Un Paese senza memoria”: “Un Paese senza memoria collettiva e capillare di sapere collettivo, storia collettiva, realtà collettiva, conoscenza collettiva” (Un Paese senza, Garzanti, Milano 1980, p. 7).

Bartezzaghi mi ricorda un altro esempio, molto (a sua volta) scherzoso:

Istituto artigianelli. Allestire per il saggio di fine d’anno un Dimenticatoio, uno Scaricabarile, un Soqquadro, una Chetichella, un Piacimento, un Detrimento, un Menadito, un Pateracchio, un Repentaglio, un Guazzabuglio, uno Scilinguagnolo, un Marchingegno, un Cagnesco, un Visibilio, un Sollucchero.

Non c’è molto da ridere, in verità, se il dimenticatoio lo si prende sul serio. Fa rima con levatoio, ci porta via qualcosa. Ci sottrae senso.

Sarà per eccesso di storia, di una storia troppo lunga, ma l’Italia ha un grave problema. Un’amnesia generalizzata. Conta solo ciò che sta accadendo ora. Tutto ciò che c’era prima non ci importa. Tanto che qualcuno in Italia oltre che essere fascista può simpatizzare anche per il nazismo. Come se nulla fosse accaduto. Viviamo così, nella dimenticanza.



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